L’immigrazione italiana in Sud America

Uno strepito chi piange chi si lamenta 

spose coi figli in braccio che vogliono gettarsi nell’acqua 

a negarsi e dicono se si parte si muore tutti 

prima di arrivare nell’america”

Spinti da motivi diversi, per fuggire dalla miseria o a causa di persecuzioni politiche, gli italiani partirono a milioni per la Merica, alla ricerca di fortuna e di una nuova vita. In particolare, l’immigrazione italiana in Sud America ebbe luogo a partire dalla metà dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale. Per comprendere meglio il fenomeno, le lettere dei migranti rappresentano un corpus documentale incredibilmente ricco e riportano testimonianze significative relative ai viaggi, alle difficoltà affrontate, alle speranze e alle disillusioni. In Merica! Merica!, Emilio Franzina, storico specializzato nelle migrazioni all’estero e nelle scritture popolari, ha raccolto diverse lettere di contadini veneti emigrati in Brasile e in Argentina tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, mettendo in luce diversi problemi storici a partire da un’estesa analisi della documentazione popolare.

Tra le peripezie che i migranti dovevano affrontare, le avventure del viaggio iniziavano con la partenza: le prime difficoltà, infatti, emergevano già nei rapporti con gli agenti di emigrazione, con le autorità portuali e con i rappresentanti consolari. Dai porti di Marsiglia e di Genova, in concorrenza per “l’industria del trasporto degli emigranti”, partivano anche vecchi velieri sovraccarichi e poco sicuri, promossi da agenti fraudolenti che promettevano condizioni di viaggio molto diverse dalla realtà.

I pericoli del viaggio

Ancor prima di partire per l’America, in una lettera scritta dal porto di Marsiglia, Giovanni Biagio chiedeva ai suoi parenti i mezzi per tornare indietro a causa delle condizioni che si prospettavano per la traversata: “diversi ci manifesta che in quello [in quella imbarcazione] non vi puo stare che 300 persone e invece ne sono piu di 800 che siamo fissi come le sardelle”. Giovanni racconta la truffa subita e gli sforzi vani per riavere il denaro investito per partire, ed esprime tutta la frustrazione e il senso di colpa che prova per essersi lasciato ingannare: “siamo traditi da noi stessi” (16 novembre 1877, Marsiglia).

Francesco Sartori documenta simili disavventure, scrivendo: “in tutti siamo un numero di 300 persone e sul bastimento non bisognerebbe oltrepassare a 350 perchè è un bastimento fatto da tempo passato per le merci e non per passeggeri. In questi giorni i falegnami hanno lavorato a fare i posti per buttarsi a dormire uno sopra l’altro che bisogna stare inginocchiati e ancora si petta colla testa sopra peggio delle bestie senza respiro. […] Nel bastimento siamo spessi come in un buco d’ave. E’ morto un giovane di 5 anni ed era un bellissimo giovane ben nutrito ce ne sono altri otto ammalati gravemente. Uno strepito chi piange chi si lamenta spose coi figli in braccio che vogliono gettarsi nell’acqua a negarsi e dicono se si parte si muore tutti prima di arrivare nell’america” (18 novembre 1877, Marsiglia). 

La speranza di un riscatto

Non tutte le testimonianze si soffermano sulle difficoltà del viaggio: alcune, infatti, raccontano della speranza che portava con sé chi lasciava la patria. Luigi e Oliva Binutti, ad esempio, scrivono che “In 1500 persone è uno nato ed uno morto. Il viaggio è stato proprio felice”.

Talvolta, nei racconti degli emigrati, le problematiche erano trascurate per mettere in risalto i successi e le piccole fortune, dando origine a una particolare forma di propaganda che spinse molti a partire. Come ha ricordato Donato Bosca in La Merica che non c’era, chi si affidava a questi racconti con troppo entusiasmo dimenticava il proverbio piemontese che avvertiva: “Chi lassa la stra veja per la neuva, a sa lòn ch’a lassa ma nen lòn ch’a treuva” (Chi lascia la strada vecchia per una nuova, sa quello che lascia ma non quello che trova). 

Nonostante tutto, all’arrivo, dopo il lungo e faticoso viaggio, la vista della terra all’orizzonte significava l’inizio di un nuovo cammino: “Quando poi una lunga navigazione di 30 giorni finalmente il giorno 11 Gennaio di bel mattino sià principiato a vedere le montagne del Brasile alora tutti siamo messi a strillare e viva e viva la merica infino ai 12 prima di giorno siamo arivatti al porto di Rio Zanero sono natti 3 e morti 7 ma io e la mia famiglia graziando Idio siamo sanissimi in bonissima salute”. (Dalla lettera di Gio Batta Mizzan, 17 marzo 1878, Brasile). 

Dal momento dello sbarco, il sogno americano poteva cominciare.

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