30 aprile 2024

Nei diari che scriviamo spesso appaiono anche singole parole, frasi, schizzi e disegni, qualcosa insomma che si lasci catturare prima che sfugga nel flusso del tempo della nostra vita. Una fotografia, come molte ne sta facendo Laura in questi giorni, così dense di persone, incontri, luoghi e avvenimenti. Quindi non vi sorprenda di leggere nomi e dettagli che sento l’esigenza di fissare, anche senza raccontare troppo di loro.

Cosa ne faremo, oltre questo filo che ci lega, lo scoprirete alla fine del percorso, anche perché in questo momento le preoccupazioni sono altre. Per fortuna non quelle logistiche e organizzative, perché veniamo seguiti passo dopo passo da Anna, Sara, Camilla, Elisa e un’intera squadra. Vedeste le schede della tournée come sono state curate e noi ogni giorno ringraziamo per la precisione con cui hanno prenotato treni, aerei, bagagli, hotel e cene. So che non ci sarebbe bisogno di scriverlo, ma un diario lo si tiene anche un po’ per se stessi, per tornarci magari fra tanti anni e ricordarsi con gratitudine di queste professioniste, così come non dimentico i diciassette anni trascorsi insieme a Irma. Una signora che conosceva ormai vizi e abitudini del sottoscritto e riusciva nelle trasferte a farmi sentire la sua presenza. Oggi è in pensione, ma ogni tanto ci scriviamo perché di avventure culturali ne abbiamo vissute davvero molte.

Le preoccupazioni, dicevo, sono di ordine artistico, come per la lingua teatrale che utilizzo, una sorta di grammelot tra un napoletano di famiglia e un italiano ricercato. Ma anche di ordine pratico, come individuare la lavanderia che ci smacchi in tempo i costumi bianchi.

Il pubblico che incontriamo, i teatri e le piazze in cui dobbiamo cantare la nostra fiaba non è omogeneo, anzi, ci vuole spirito di osservazione e adattamento per fare arrivare le nostre energie a più persone possibili. Per adesso ciò che ci viene restituito sembra dare soddisfazione agli sforzi che ogni sera compiamo, talvolta con gesti eclatanti. Ricorderete i biscotti di Angela a Lampedusa, e non vi ho raccontato delle persone in piedi ad applaudire a Palermo, all’interno del Teatro Garibaldi. Anche Lipari, la più grande dell’arcipelago delle Eolie, dove mi trovo è una conseguenza dell’amicizia con Roberto.

A proposito questa è la prima tappa senza Roberto, Carla, Margherita, Angelo e la piccola Sara, quanta nostalgia.

Raggiungiamo Milazzo con un comodo treno, taxi e aliscafo verso l’isola. In fondo sempre di isole parliamo.

Il transfert dell’Hotel rocce azzurre ci conduce in una baita appartata, la posizione è un dono della natura e le persone che ci lavorano sono gentili e sempre pronte a risolvere bisogni ed esigenze. A proposito di lavanderie, qui il giorno dopo lo spettacolo sono riusciti in tre ore a farmi arrivare in camera il costume e la biancheria profumata, ed era il 1° maggio!

Sarà il direttore del Museo del Parco Archeologico delle isole Eolie, a condurci presso il teatro edificato nel 1978 sul modello greco. Rosario ha fatto una scelta di vita e d’amore lasciando Messina e venendo a dirigere e abitare questo spazio incredibilmente bello e con una collezione unica.

Anche solo una visita qua vale il viaggio, vi lascio due note in fondo alla pagina se voleste sapere qualcosa di più su le origini dell’isola, ma nel Museo troverete molto più di quello che potreste immaginare a partire da una collezione di maschere teatrali in terra cotta unica al mondo. E ancora una tazza con decorazione figurata e incisa, si tratta probabilmente del più antico esempio di rappresentazione narrativa della preistoria italiana nel Mediterraneo.

Ma Espérer?!

Giusto, voi volete sapere dell’isola che c’è.

Fare teatro con alle spalle la scenografia che il Signore (per i credenti) o la Natura (per tutti gli altri) ci ha allestito è un esperienza che chiunque faccia questo mestiere desidera prima o poi fare e perché no, replicare. Non ci credete? Guardate la fotografia.

Sui quei gradini c’erano anche Tilde, che ha gli occhi che ridono. Guardandola insieme a Rosario si comprende il perché stanno camminando mano nella mano. Silvia la figlia di Tilde teatrante e navigante ed infine Emanuele e Carlotta, lui artista palermitano viaggiante fra Lipari e Chicago e lei bustocca e liparese! Non sapete cos’è? Mica posso dirvi tutto io, più avanti forse capirete.

Questo era il tavolo della cena intorno al quale abbiamo amabilmente passato le ore del dopo spettacolo.

La mattina successiva un altro regalo, lasciato anonimamente alla reception dell’hotel: una decina di cartoline illustrate da un artista dell’Isola che ringraziava, con poche righe, il Teatro delle Forme e tutti noi per questa storia fatta di poesia e lacrime, sorrisi e amara terra mia. Le aveva avvolte in una carta rossa, chiuse con un fiocco e un adesivo colorato, le mani che avevano indugiato nella preparazione di quel pacco non le ho viste, ma da oggi sono parte di questo diario.

Il giorno dopo era il 1° maggio, festa dei lavoratori, anche per noi un momento per riposare, passeggiare e annusare la stessa aria dei liparoti (persone nate a Lipari) e dei liparesi (coloro che sono arrivati a Lipari). Le lingue ufficiali segnano quasi sempre un confine, tra un Noi e un Loro, forse per questo ho scelto di inventarne una utilizzando il mio teatral-familiar-napoletano corporeo, chiedendo a chiunque partecipi uno sforzo per entrare. Dissemino chiavi d’accesso, per carità, ripeto affinché non ci si perda nel labirinto della mia lingua inventata, ma a un certo punto bisogna proprio scegliere di salire su queste vocali orientali e accettare che le parole tronche non esistono più. Cosa vi aspettavate da una persona cresciuta avendo nelle orecchie le parole contaminate di Giovanni Testori ed Enzo Moscato, continuo a credere, consapevolmente fuori moda, che ogni teatro abbia una sua lingua che non vuole adattarsi a un epoca che omologa anche l’arte sull’altare dell’intrattenimento. Credo di essermi inventato anche dei termini in questi anni, perché suonavano bene su di un gesto o apparivano musicali, ma non domandatemi quali perché quando racconto confondo la realtà con ciò che immagino.

Prima di partire alla volta di Catania saluto Tonia, la signora che si è occupata delle pulizie nelle nostre stanze. Arriva dall’Ucraina questa nuova liparese, per lei il 1° maggio è stato lavorativo, vorrei dirle che probabilmente dovrà attendere almeno una generazione per poter riposare, o almeno così è accaduto a mio padre emigrato da Napoli a Torino.

*Nota 1

DIODORO SICULO (V. 4-7) (CIRCA 90 – 27 A.C.)

Dicono che le Isole Eolie nell’antichità fossero deserte, ma che poi un certo Liparo, che era figlio di re Auson (figlio di Ulisse), venuto in discordia coi fratelli e disponendo di lunghe navi e di soldati sarebbe fuggito dall’italia verso l’isola che da lui prese il nomadi Lipari e che in essa avrebbe fondato la città dello stesso nome e avrebbe coltivato le altre isole predette.

Quando egli era ormai vecchio sarebbe giunto a Lipari, insieme ad altri compagni, Eolo figlio di Ippote, e avrebbe sposato la figlia di Liparo, Ciane. E avendo fatto si che i suoi compagni vissero in pace con gli indigeni, regnò sull’isola. E a Liparo desideroso di ritornare in Italia procaccio la regione intorno a Sorrento dove egli regnò con il più largo consenso fino alla morte ed essendovi sepolto ricevette grandi onori e culto eroico da parte degli indigeni.

Eolo presso il quale si racconta che sia giunto Odisseo nei suoi viaggi. Dicono che egli fosse pio e giusto e ospitale verso i forestieri, ed inoltre che egli avrebbe insegnato l’uso della vela ai naviganti e che dall’osservazione dei presagi del fuoco avrebbe predetto ai locali i venti e perciò la leggenda lo avrebbe indicato come dispensatore dei venti e che per l’eccellenza della sua pietà sarebbe stato chiamato amico degli dei. I figli di Eolo sono in numero di sei Astiokos, Xoutos e Androkles e inoltre Phersimos e Lokastos e Agathynos e tutti per la fama del padre e per le proprie virtù, raggiunsero una alta considerazione. Di essi Lokastos, rivoltasi verso l’italia. regnò sulla zona costiera fino alla zona di Reggio. Phersimos e Androkles dominarono la Sicilia dallo stretto fino alla regione di Lilibeo. Di questi territori rivolti verso Oriente li abitavano i Siculi, quelli verso Occidente i Sicani. Questi due popoli erano molto in contrasto fra di loro ma volentieri ubbidirono ai figli di Eolo per la fama di virtù del padre e per la loro moderazione.

Xouthos regnò sul territorio intorno a Leontinoi, che da lui fino ad oggi viene chiamato Xouthis. Agathynos regnò sulla regione anche ora chiamata Agathynide e fondo la città da lui chiamata Agathinon.

Astiokos ebbe la signoria di Lipari, Essi tutti imitando le virtù e la giustizia del padre ebbero grande fama. Dopo molte generazioni di discendenti succedutosi nei regni, finalmente i sovrani della discendenza di Eolo si estinsero in Sicilia.

Dopo di che i Siculi continuarono a chiamare al comando gli uomini migliori, i Sicani, invece contendendo per il potere combatterono gli uni contro gli altri per molto tempo.

**Nota 2

La sensibilità artistica e narrativa delle genti di Capo Graziano trova massima espressione nella tazza con decorazione figurata incisa, rinvenuta in frammenti all’interno del crollo dei muri della capanna F dell’insediamento di Filo Braccio a Filicudi. Si tratta probabilmente del più antico esempio di rappresentazione narrativa della preistoria italiana nell’antico Mediterraneo. La forma del vaso è molto semplice: a profilo convesso, con un’ansa sopraelevata decorata con impressioni circolari. Pur essendo di produzione locale, si discosta dal normale repertorio dell’artigianato Capo Graziano.

Il disegno, inciso sulla superficie ancora molle, prima della cottura, fu eseguito con una tecnica elementare: i tratti sono irregolari ma continui, e denotano una certa sicurezza.

Il disegno è schematico ed occupa interamente la superficie del vaso con linee a zig-zag che possono facilmente essere interpretate come il moto ondoso del mare, che fa da scenario al racconto.

In alto, in posizione centrale compare chiaramente una figura antropomorfa stilizzata, a braccia e mani spalancate, disposta nella postura dell’orante. Il gesto è imponente e comunica un senso di immediata drammaticità. Ai lati, vi sono schematiche figure di imbarcazioni che sembrano muoversi tra le onde; la posizione sottolinea il loro ruolo fondamentale nella raffigurazione dell’evento raccontato.

A lato della figura umana, due barche salgono verticali, in posizione simmetrica; sembrano quasi sospinte in alto e travolte dal suo emergere dalle onde.

Il disegno sembrerebbe narrare un evento preciso legato a un mare affollato di imbarcazioni, in arrivo o in partenza dall’isola, in cui potrebbe essere protagonista la grande figura umana.

Ma la figura umana sembra gigantesca mentre emerge dal mare con effetti rovinosi su onde, isole e barche.

Le dita delle mani e dei piedi sono tracciate in modo irregolare e confuso, decisamente innaturale, quasi a ricordare delle estremità palmate.

Forse rappresenta una divinità marina distruttiva con mostruosi arti da pesce un simile al Proteo ricordato dalle fonti greche, arcaica divinità della generazione, cupa misteriosa, delle divinità pre-olimpiche.

La tazza di Filo Braccio è il più antico esemplare decorato del periodo di Capo Graziano e l’unico figurato in modo tanto complesso. La decorazione a punti e linee incise si è sviluppata, soprattutto nei momenti tardi, come testimoniato dai vasi con fitti disegni rinvenuti nel villaggio sulla Montagnola di Capo Graziano.

La capacità di narrare con le immagini si è fermata, non si trasmette alle generazioni successive. Rimane solo il disegno in quanto stile decorativo, intricato e quasi ossessivo.