Tra radici profonde e isole fluttuanti

In dialogo con i territori

La prima parte del nostro viaggio è conclusa. Durante questa nostra risalita lungo la penisola, i luoghi che attraversiamo ci attraversano a loro volta. In ogni piazza, in ogni teatro e in ogni scuola, in ogni spazio che ospita la storia dell’isola di Espérer, si intrecciano e si intersecano mille altre storie. Le storie di chi si è lasciato trasportare sull’isola dai nostri canti, di coloro che vivono il territorio, delle persone che erano lì di passaggio, e, soprattutto, le storie dei territori. 

La scelta di iniziare da Lampedusa si inserisce qui, in questo dialogo che raccoglie gli incontri e i passaggi in un tempo e in uno spazio condivisi, dove molte culture e infinite identità umane si trovano a condividere le stesse ambizioni, le stesse nostalgie. Conoscere la storia, il territorio, costruirci un rapporto, significa porsi oltre alle strumentalizzazioni, superare gli schieramenti. Avere memoria della propria cultura, delle proprie origini, delle radici dei luoghi che abitiamo, è l’unico modo per poter costruire un dialogo con culture altre. 

La Sicilia, la regione da cui siamo partiti, è oggi una terra di approdo per le migrazioni mediterranee e internazionali, e conosce sempre più processi di insediamento e stabilizzazione di popolazioni immigrate dal Nord Africa e dall’Est Europa, oltre a svolgere un ruolo di ponte per altre direttrici verso il Nord. Gli stranieri che si fermano in Sicilia svolgono un ruolo significativo nel mercato del lavoro, e sono principalmente impiegati nel settore primario o per lavori non specializzati. Sulle Migrazioni in Sicilia e sull’impiego lavorativo degli stranieri, ha scritto tra gli altri studiosi Marco Pirrone, mettendo in luce alcuni temi complessi, dai molteplici risvolti.

Le emigrazioni: la Sicilia

La Sicilia è anche una terra di emigrazioni, storiche e contemporanee. Attualmente, detiene il primato in Italia per il numero di emigrati all’estero, che ammontavano, l’1 gennaio 2023, a 815 mila, il 16,8% del totale della popolazione residente nell’isola. Ogni anno, circa 10.000 persone lasciano la Sicilia; dopo una momentanea attenuazione dovuta al COVID-19, le emigrazioni sono presto ricominciate, con 17.000 espatri nel 2022. 

Le prime emigrazioni di massa dalla Sicilia ebbero luogo nel contesto degli spostamenti che portarono migliaia di Italiani nel Nuovo Mondo, con la grande depressione e la crisi agraria degli anni Settanta e Novanta del XIX Secolo. I nuovi sistemi produttivi, l’unificazione dei mercati, e dunque la perdita dei precedenti equilibri nell’economia del paese, comportarono conseguenze ancora più gravi nel Sud della penisola. In Sicilia, a partire dal 1891, si sviluppò un movimento di resistenza economica al padronato, che diede luogo a un’ondata di scioperi, repressi con l’intervento dell’esercito. Decine di morti e centinaia di arresti portarono infine allo scioglimento del movimento nel 1894. A partire da questo periodo, si intensificarono i flussi di emigrazione verso le Americhe – che passarono da 10.000 unità annue a 15.000 proprio nel 1983. 

La Calabria

Similmente, in Calabria le condizioni di vita dei contadini erano caratterizzate da salari molto bassi e poche sicurezze lavorative, in un contesto per cui i rischi della produzione agricola erano affidati solamente alla copertura offerta da società di mutuo soccorso e organizzazioni auto-gestite. Esaurite le possibilità offerte dai circuiti locali, la Calabria fu una tra le prime regioni ad aprirsi a circuiti internazionali. Già nel Settecento, infatti, si registrano le prime migrazioni verso la Spagna. Tuttavia, a cavallo tra Ottocento e Novecento si verificò un vero e proprio esodo, dipeso anche in questo caso dal perdurare di iniquità sociali, ma anche dalla diffusione in quel periodo di malattie come la malaria. L’emigrazione calabrese nei primi dieci anni del Novecento arriva a contare 317.000 unità. Tra le regioni meridionali, la Calabria si pone al terzo posto per il numero di emigrati dopo Basilicata e Sicilia.

La discriminazione

Gli emigrati italiani, in cerca di condizioni di vita migliori, subirono una forte emarginazione sociale, dovuta in parte alla tendenza all’auto-segregazione entro i tenements, i palazzi sovrafollati delle Little Italies. L’alto tasso di analfabetismo e le condizioni di povertà, inoltre, rendevano l’integrazione ancora più complessa, soprattutto per gli Italiani provenienti dal Sud, risultando spesso in episodi di grave discriminazione politica e sociale. Generalmente, gli emigrati italiani, e i meridionali in particolare, venivano impiegati come manodopera non qualificata, per la costruzione e manutenzione di infrastrutture, ferrovie e fognature, in condizioni lavorative che non garantivano alcuna tutela, stabilità, né compensi adeguati.

Lo spopolamento delle aree interne

Successivamente, le direttive migratorie principali della Sicilia riguardarono il Nord Italia e altri paesi europei, mentre internamente all’isola le zone rurali videro un progressivo spopolamento e movimenti verso le città costiere.  Anche in Calabria le aree interne sono state in gran parte abbandonate in favore delle coste: tra il 1981 e il 2011, le aree interne hanno visto una perdita del 21% circa della popolazione. Tale spopolamento ha determinato squilibri demografici ed economici che sono stati in parte affrontati anche attraverso esperienze di accoglienza di migranti e rifugiati. Simili strategie pongono al centro una prossimità sociale, costruendo alternative di vita che sappiano valorizzare culture diverse e, proprio grazie al dialogo e alla condivisione, preservare patrimoni tradizionali locali che rischierebbero altrimenti di andare perduti. A tale proposito, hanno scritto Corrado e D’Agostino nell’articolo I migranti nelle aree interne. Il caso della Calabria

Ascolto e memoria

Parlare per numeri è sempre, almeno in parte, straniante. Ad oggi, ci sono 815 mila siciliani all’estero, oltre 430 mila calabresi iscritti all’AIRE, e molti altri nelle città del Nord e del Centro Italia: famiglie, studenti, lavoratori. Quali sono le storie di ognuno? E come si intrecciano alle storie di chi è rimasto? Non è semplice avere cognizione dei rapporti che si dilatano, che si intersecano, superando distanze e frontiere, così come dei rapporti recisi, delle lontananze incolmabili. Non è semplice, ma si può fare: praticando con attenzione l’ascolto, aprendosi alle storie degli altri, che non sono poi così distanti dalle nostre. 

Conoscere la nostra storia significa avere cognizione della nostra posizione nel mondo, avere memoria dei luoghi e del nostro passato. Significa, infine, conoscere le radici che corrono sotto il terreno che abitiamo, un terreno che, oggi, è coltivato anche da mani straniere. 

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