3 e 4 maggio 2024

Eccomi, come state? Noi abbiamo appena archiviato due emozionanti date a Reggio Calabria presso lo Spazio Teatro, ospiti di Anna e Gaetano. Un luogo che ci ha consentito di avere un pubblico talmente vicino alle coste dell’isola luminosa, da riconoscere le espressioni del viso almeno delle prime tre file.

Così mi ritrovo su di un treno a scrivere una nuova pagina, anzi posso arrivare ad affermare che il diario esiste grazie al cavallo di ferro che ci ha fatto attraversare le prime due regioni della tournée. Non c’è altro mezzo di trasporto che vorrei avere a disposizione, non fosse che per i ricordi a cui riesco ad accedere ogni volta che ci salgo: quei lunghi viaggi notturni, Napoli – Torino e ritorno, sopra sudati sedili di finta pelle e dove una medesima comunità linguistica, senza alcuna pretesa di privacy, si ritrovava di notte a dormire tutta aggrovigliata. Vi assicuro che non è una metafora o un’altra figura retorica, e sono convinto che a qualcuno, mentre legge queste poche righe, sarà subito apparsa l’immagine di piedi sconosciuti accanto alla propria testa. Ma andava bene così, era un mondo diverso, un mondo senza telefoni e senza reperibilità.

Torniamo a Reggio, la punta dello stivale, una città divisa fra due mari, ionio e tirreno e dove il vento non cessa mai di confondere nuvole e pensieri. Si respira bene a Reggio, diversamente che da noi in pianura padana e alla stazione la signora Antonella e il suo taxi erano stati ingaggiati per condurci nei B&B.

Qui, diversamente dalle altre tappe ci fermeremo due giorni, il teatro ha una capienza massima di 50 posti e vorremmo cantare la fiaba per quante più persone possibili. Anche questo è uno snodo che incrocia le comunità di stranieri non accompagnati del progetto “Tempo al tempo”, per questo ci prepariamo e limiamo al meglio le parole, rallentiamo lì dove il mio linguaggio potrebbe essere più scosceso.

Risultato, due giorni di un racconto intimo, con le persone che ridono di più, ci abbracciano alla fine e vogliono sapere del “Certificato di esistenza” per salire sull’isola di Espérer. Una giornalista scrive una recensione che coglie alcuni passaggi meno evidenziati in altre occasioni, vi lascio qui il link se volete leggere: https://laxstyle.blog/2024/05/04/a-spazioteatro-limmaginifica-storia-di-esperer-di-antonio-damasco/.

Il resto del tempo è come sempre il tentativo di provare a confondersi con gli abitanti, per non essere semplici turisti, capire come si vive nelle città che ci ospitano. Così a fine spettacolo incontriamo una famiglia di ristoratori che prima avevano vissuto in provincia di Torino, a Venaria. Una tecnica delle luci, diplomata in scenografia e vissuta dieci anni a Torino, un piccolissimo locale seminterrato in cui si esibiva una band di musica heavy metal, un Museo Archeologico luminoso e pieno di storia. E poi il mare, quello stretto sempre conteso, strumentalizzato, che unisce e divide, ma soprattutto che nasconde chissà quali tesori a partire dai bronzi, rinvenuti a 200 metri di distanza dalla riva e a una profondità di 10 metri, per caso da un turista. Quel mare che Omero chiamava hygra keleutha, la strada liquida, uno spazio di transizione e di condivisione e che oggi nasconde un cimitero di uomini, donne e bambini.