5 maggio 2024

Il taxi della signora Antonella arriva puntuale per condurci alla stazione di Reggio, il passeggero più ingombrante resta “il morto”, che continua ad assumere le calorie degli altri, diventando ogni giorno più pesante. Dei treni vi ho già scritto tutto il meglio che potevo e questo non fa eccezione, se solo potessero arrivare ovunque rinuncerei ad aerei, automobili e monopattini, basterebbe una bici e un treno, questo lo scrivo a imperitura memoria.

Catanzaro è una tappa obbligatoria da decenni, almeno per me, qui ci sono ricordi di tanti amici e amiche e spettacoli ospitati da Edizione Straordinaria, animata da Salvatore, Franco (Mazzabubbù), Pasquale, Claudia, Cece e una nutrita schiera di bambine e giovani della Scuola Enzo Corea. Qui ho già raccontato ReMiseriaRe, Juve Napoli 1 a 3 la presa di Torino e Comizi d’amore.

Le prime facce che incontriamo sono quelle di Salvo, Pasquale e Perché! Salvo è l’amico di sempre, compagno della giovanile rete di teatro indipendente, denominata TeatrOvunque. Lui l’ha realizzata per davvero, il teatro lo fanno ovunque, hanno aperto sedi in alcuni comuni intorno a Catanzaro per proporre esperienze laboratoriali di teatro ai piccoli, agli adulti e agli adolescenti. Pasquale invece è la nuova generazione, con quella folle energia che lo porta a lavorare nella formazione dei più piccoli, frequentare il corso di regia presso l’Accademia, preparare gli spettacoli e non fare mai mancare il suo sostegno al Catanzaro Calcio.

Perché? Beh Perché è un cane di piccola taglia, completamente nero, di madre cocker e padre ignoto, inutile dirvi che abbiamo trascorso due giorni accovacciati in terra per cercare di tanto in tanto il suo muso gentile. Una volta caricati i bagagli ci accompagnano a Palazzo Samà, che un altro Salvatore gestisce con una cura tale da farlo annoverare tra le migliori ospitalità della tournée. Si tratta del palazzo del fondatore del quartiere Samà, imprenditore edile che ha costruito una Chiesa, una scuola e altri edifici. Sembra, dal racconto di Salvatore, che abbia abbandonato casa e città deluso dai suoi concittadini, rei di non averlo scelto nelle preferenze  quando decise di candidarsi alla guida del paese.

Noi gli dimostriamo tutta la nostra gratitudine riposando con soddisfazione, prima di andare a cantare la fiaba presso il Centro Polivalente, denominato Teatro minore, chiamato così forse per una ironica e aulica fratellanza con il blasonato milanese, Il Piccolo. Mazzabubù aveva predisposto luci e audio per accogliere il gran pienone e non credo di esagerare dicendo che almeno 1/4 dei presenti li conoscevo. Prima di cominciare, un piccolo incidente ci costringe a ripensare al finale, il palloncino rosso non vola più, questa sera l’isola dovrà scegliere un modo diverso per staccarsi dalle terre di Sollucchero e Rien ne va plus, a dimostrazione che il teatro si fa con quello che si trova, talvolta è un oggetto, altre una battuta uscita con un’intenzione diversa, un inciampo, oggi un palloncino che non vuole volare. Ma è in questi momenti che la compagnia si ritrova unita a pensare alla soluzione e una volta scelta l’alternativa si può cominciare. Ormai sono dodici giorni che viaggiamo, prepariamo gli oggetti di scena e i costumi con una ritualità maniacale: Maurizio suona la sua chitarra muta, La Conti si prepara e scalda la voce, Laura sceglie le distanze e le luci giuste per inquadrare le fotografie che vedete nel Diario e quelle che sta preparando per il lavoro finale. Io? conto i passi e quasi come se pregassi ripercorro la narrazione a volume basso, dando più forza ai gesti e al corpo, dopotutto a questo punto del lavoro la memoria dell’attore risiede nella fisicità dei gesti, non nella testa. Ci sono momenti in cui potrei pensare anche ad altro, mentre la magia si ripete.

La preparazione occupa almeno un’ora e da questa fase si riconosce chi ha praticato questo mestiere e chi, senza alcun giudizio, lo fa di tanto in tanto quando ne ha piacere o vince un bando. Si potrebbe dire che i teatranti sono a conoscenza di peculiari trucchi del mestiere, come quello del taglio della barba, ovvero la barba va tagliata “a pelo”, mai in contropelo! Altrimenti la pelle si stanca, mi dicevano i maestri napoletani.

In questa pagina ho indugiato sul mestiere dell’attore perché mi sembrava utile raccontare che c’è sapienza artigianale nel teatro e non è solo un lavoro d’intelletto.

La cantata funziona di nuovo e non lo si deve mai dare per scontato. Chi partecipa lo fa in un religioso silenzio per poi scoppiare in applausi lunghi e desiderosi di salire sull’isola, come testimonia Laura con uno scatto fotografico.

Il giorno dopo Pasquale si libera da qualunque impegno per farci vedere Caminia, Pietra Grande e Soverato e ci racconta della migrazione del nonno, avvenuta all’età di 11 anni, oggi sarebbe un minore straniero non accompagnato. Anche perché partire dalla Calabria da solo e arrivare in Piemonte a metà del ‘900 era un viaggio, quasi come cambiare Stato.

Alle ore 18.00 torniamo a teatro perché tante persone vogliono saperne di più, vogliono diventare abitanti di Espérer con il timbro dell’Anagrafe dell’isola. Arrivano anche Carlo, facente parte della comunità creatasi intorno alle 33 puntate radiofoniche de “Le parole che curano” (https://www.tradiradio.org/portfolio-articoli/le-parole-che-curano/), Marcello, amico e chansonnier del territorio e infine Barbara.

Lasciatemi dire due parole su Barbara, che nel frattempo si è sposata con Pasquale. Un’amica gentile e dotata di quell’ironia mai fuori posto, segno di grande intelligenza, virtù che abbonda nelle molte donne incontrate durante la tournée, di cui però mi è mancata la possibilità di ascoltare le storie.

Il giorno dopo Salvo e Perché ci accompagnano in aeroporto, Pasquale aveva l’Accademia ma prima di andare via ci lascia con l’ultima perla: “Ma il morto chi se lo sale?” riferendosi alla valigia che nel frattempo, grazie a Maurizio che si era ripreso 3 kg di attrezzi musicali, era tornato sotto la soglia consentito dalla compagnia aerea. Non c’erano più scuse bisognava tornare a casa, non fosse che per rimettere ordine e fare sedimentare quello ciò che abbiamo visto, fotografato e ascoltato. La strada per arrivare a Bardonecchia sarà lunga, come sanno quelle donne, uomini e bambini che provano ad attraversare l’Italia alla ricerca di una terra promessa. Ci sarà modo di tornare sulle stesse tracce e tentare di comprendere, quando talvolta per fare un passo avanti se ne devono fare due indietro. Non esiste linearità in questa risalita e anche il nostro racconto dovrà andare lì dove serve, probabilmente anche tornarci e discutere, sedersi accanto a chi si è dimenticato, a chi ha accolto, a chi ha respinto, a chi ha paura e a chi non sa come fare.

Se mi conoscete o avete letto altre cose che ho scritto, sapete già cosa ne penso:

Le comunità non esistono, bisogna (re)inventarle.

Ultima curiosità, dopo tutto questo parlare di viaggi e migrazioni, sull’aereo viaggiamo con un noto ex Ministro dell’interno della Repubblica italiana dal 2016 al 2018. Quello che per primo aveva pensato di pagare con soldi pubblici uno Stato sulla costa africana, ricordate? Secondo lui e il governo di allora sarebbe servito a bloccare gli imbarchi, chiedere ad altri di fare il lavoro sporco, senza pensare a cosa e come avrebbero eseguito il compito.

Giusto finale per tornare a riflettere prima di ripartire, no?

Continuate a seguire il Diario di viaggio, perché anche mentre saremo in pausa pubblicheremo alcuni approfondimenti poco frequentati. Se volete essere avvisati quando usciranno iscrivetevi al canale whatsapp dell’isola di Espérer: https://whatsapp.com/channel/0029VadDpEBEQIarQZXlqA2H.

Nel frattempo grazie non solo per avere letto questa prima parte del viaggio, ma per come lo state facendo.

Antonio